La sua mano stretta nella mia 

22.02.2020

Tempo fa ho avuto modo di parlare con un amico del ruolo rivestito dallo psicologo  durante la fase di accompagnamento nel percorso di fine vita. 

Io la vedo così, voi?

La figura dello psicologo come elemento di supporto, aiuto e accompagnamento a chi si incammina sul sentiero del fine vita, da protagonista o da spettatore, è una figura alla quale poco si pone attenzione quando ci si trova in situazioni simili.

La mano stretta di cui si parla è reale e metaforica al tempo stesso.

E' necessità di un contatto umano fisico e ancor più di una vicinanza mentale e di animo.

Il professionista è chiamato con tutti gli strumenti di conoscenza e formazione di cui dispone ad accompagnare il malato ed il mondo di affetti che lo circonda, in questo percorso.

Salvo poi alla notizia della morte provare sentimenti di sconforto, tristezza, frustrazione forse e perché no sollievo, a dimostrazione che molto del suo lavoro è espressione di emozioni.

Pare la chiamino umanità.

Parliamo di terapeuti sì ma anche di uomini che si confrontano con la loro vita, le loro capacità, i limiti e credo spesso si ritrovino nudi.

Nudi di fronte al dolore di un altro essere umano. Nudi ed impotenti di fronte al dolore che il paziente attraversa in tutti i suoi aspetti: fisico, mentale, spirituale e psicologico; di fronte al tempo che la malattia rende disponibile. Tempo che va rielaborato, gestito e ottimizzato.

Il tempo che in questi frangenti è nemico va trasformato in amico.

Non c'è sono spazio per consolazione, compatimenti e anche solo per guardare i giorni passare e seguire con precisione le tappe che la malattia e le cure impongono.

Paziente e psicologo devono costruire insieme nuove unità di misura del corpo, dello spazio e del tempo .

E c'è impotenza di fronte alla personalità, al vissuto del paziente, perchè pur se sofferente e in balia di mille pensieri, anche distruttivi, la persona è sempre al centro di tutto il percorso.

Non smette di essere tale perché malato anzi chiede,  pretende rispetto e dignità.

L'immobilismo di fronte ad eventi di questo tipo è trasversale colpisce il malato, chi lo segue : la famiglia , gli amici. L'azione dello psicologo è importante nella misura in cui riesce a fornire a tutti i protagonisti gli strumenti per calarsi nella nuova realtà.

Penso che ci si possa sentire come "paralizzati" di fronte all'accettazione della malattia e della morte ma che si possa e ci si debba adattare ad una nuova forma di quotidianità, rielaborando i propri schemi di vita.

Vale forse più per chi resta che per chi se ne va.



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