Tristezza ...per favore vai via
Tristezza per favore vai via...anzi no, resta
E' innegabile che le emozioni piacevoli o spiacevoli che siano, sono parte della nostra esistenza, con questo articolo voglio parlare della tristezza, un'emozione "adattiva".
Con la parola emozione intendiamo una reazione fisiologica ad eventi esterni, reazioni che ci guidano nell'attribuire un significato a cio' che ci succede.
Spesso perdiamo di vista cosa fare e come farlo di fronte ad un'emozione che sentiamo ma che non comprendiamo o conosciamo fino in fondo, rischiando di dare alla stessa una valenza non corrispondente alla realtà. Puo' accadere infatti a ciascuno di noi ascoltando una persona o durante una consulenza che il cliente ci parli di paura raccontandoci una situazione che è di ansia o ci descriva come felicità qualcosa che è piu' simile alla sorpresa.
E' importante quindi comprendere le emozioni che proviamo e saper dare loro il giusto significato per poterle memorizzare e "rivivere" in situazioni future. In una parola farne esperienza.
Secondo la teoria darwiniana o evoluzionista il cervello ed i suoi complicati meccanismi di controllo apprendono dall'esperienza e costruiscono mappe cognitivo comportamentali .
In un articolo letto tempo fa dal titolo La scienza delle emozioni pubblicato su MIND settembre 2019 è riportato un interessante studio di Charles Darwin del 1870 circa in cui lo scienziato definiva già un numero limitato di emozioni fondamentali e soprattutto universalmente presenti insieme alle espressioni del viso che le identificano. Da questi studi Paul Ekman decenni dopo diede vita a procedure atte a misurare in modo metodico le emozioni .
Ma come nasce un'emozione?
Per parlarne meglio non posso non fare riferimento ad alcune nozioni di un testo fondamentale nel mio percorso di studi per diventare Counselor : Sopravvivere all'evoluzione di Mario Papadia
La struttura umana è un aggregato sistemico di sottosistemi interconnessi, in parole povere una serie di moduli che attraverso mutazioni e adattamenti alle situazioni si sono evoluti coordinandosi e coordinando le funzioni essenziali per la nostra sopravvivenza. Tra questi il cervello a sua volta costituito da moduli involontari semi volontari e volontari vale a dire gli istinti, le emozioni e i processi di pensiero.
Tra i moduli semi volontari troviamo le emozioni il cui scopo è rispondere a situazioni rilevanti per il nostro se' attingendo alla memoria di informazioni valutando con rapidità costi e benefici di comportamenti passati in un'ottica di opportunità.
Le emozioni spiacevoli eviteranno un dato comportamento, quelle piacevoli inviteranno a replicarlo ma perchè si attivino sono necessarie due condizioni: la presenza dell'oggetto che genera emozione o il suo ricordo e la valutazione dell'importanza ad esso attribuita.
E' in questo modo che l'emozione si differenzia dall'istinto che al contrario ricerca l'oggetto che lo soddisfi in funzione del bisogno. (rif. M.Papadia Sopravvivere all'evoluzione cap. 6) .
E veniamo quindi alla tristezza, fra le sei emozioni primarie identificate da Paul Ekman è quella che ritengo meno "estrema", meno eccessiva.
La tristezza si contrappone alla gioia, alla felicità, al piacere ed è in un certo senso complementare alla frustrazione, alla rabbia; quest'ultima legata all'evento che si sta manifestando, mentre la tristezza è una sorta di conseguenza all'aver perso qualcosa/qualcuno di importante ai fini del raggiungimento del nostro benessere.
Pensiamo ad esempio ai bambini, fonte di esplorazione continua nel mondo delle emozioni, quando si chiede loro : «perché sei triste?» la maggior parte delle volte la risposta è: «perché ho perso il mio giocattolo, perché la mia amica, il mio amico non gioca piu' con me, perché ho fatto arrabbiare la mamma o il papà» ... tutte situazioni che impediscono loro di "stare bene" , riducendo o rallentando di conseguenza le loro attività: smettono di giocare , stanno raccolti sul lettino, cercano abbracci, consolazione.
La tristezza quindi porta a ritirarci in una sorta di risparmio energetico, cerchiamo di tirare i remi in barca, di non esporci e al tempo stesso questa nostra "remissione" insieme alle espressioni facciali che riconducono al riconoscimento della tristezza da parte degli altri, aumenta la probabilità di ottenere da loro un aiuto, richiama empatia.
Parlo naturalmente di situazioni in cui la tristezza non sfocia in depressione purchè contenuta, che come scrivevo in unprecedente articolo è comunque una strategia di difesa e posizione di stand by da parte del nostro organismo.
La tristezza dunque seppur definita emozione spiacevole è utile.
Utile a comprendere le nostre sensazioni, a dare il giusto peso alle situazioni o alle persone che l'hanno generata e chiama a raccolta le nostre forze mentali e fisiche per ripartire.
Non da ultimo ci consente di lanciare una richiesta di aiuto, di comprensione , di senso di solidarietà e comunità , quanto mai necessari alla nostra evoluzione.
Che fare dunque quando ci si sente tristi? Nulla, o meglio mettersi in osservazione dell'emozione che proviamo, entrarci in confidenza, esprimerla nei modi che più ci appartengono: piangere, parlarne, ascoltare musica, magari disegnare cio' che percepiamo muoversi dentro di noi o scrivere cosa ha generato questa tristezza. Il suggerimento , non solo mio naturalmente è quello di evitare di scacciarla, rifiutarla o fuggire da essa, non cercare di rimuoverla solo perché si dice appartenga alle emozioni negative.
Ci appartiene come tutte le emozioni che sono fondamentali nella costruzione del nostro percorso di conoscenza e crescita e gancio per restare in relazione con gli altri.
Leo Buscaglia in Vivere, Amare, Capirsi scriveva:
Ogni volta che impariamo qualcosa di nuovo, noi stessi diventiamo qualcosa di nuovo. Vivere significa sporcarsi le mani.
Aggiungerei che emozionarsi è un gran bel modo di sporcarsele, anche quando si è tristi.
Alla prossima emozione !